Ieri Napolitano è stato riintronato (con due i) davanti ad una assemblea di rintronati.
Facile e volgare battuta per ricordare un giorno commosso e commovente quello della disfatta della politica che abdica ai suoi doveri di elaborazione e mediazione e si affida ad un santo protettore, ad un padre nobile ma eccessivamente generoso che non ha saputo dire No. Ho pensato, guardandolo durante la cerimonia di insediamento, osservando la sua stanca fragilità, vedendo la fatica a salire sull’altare della patria costruito per i maschi e gagliardi polpacci di giovani in divisa, osservando il volto apparentemente impassibile ma teso di donna Clio, ho pensato a quei padri che hanno la sfortuna di avere figli drogati che vengono consumati nei loro averi da richieste sempre nuove e mai sufficienti per aver il danaro per una nuova dose.
Certi applausi gli saranno apparsi come una irrisione, applausi agli schiaffi che stava fendendo dallo scranno più alto a tutta la classe politica. Gli unici che potevano applaudire, i grillini, non si sono voluti confondere con gli altri e hanno mantenuto un atteggiamento che forse era l’unico coerente con la gravità del momento e delle cose che stava dicendo il capo della Stato.
Berlusconi, che sa cosa vuol dire l’immagine, mostrava un volto concentrato e grave, prendeva appunti, o almeno dava a vedere che prendava appunti e non applaudiva troppo. L’altro, il mio Bersani, ascoltava senza tradire qualche emozione, a volte appoggiando la testa alla mano come se fosse troppo stanco. Non l’ho visto fare ciò che ha fatto Berlusconi più intelligentemente, andare ad omaggiare personalmente, fuori protocollo, il capo dello Stato che stava lasciando l’emiciclo. E’ scappato di fronte alle telecamere che chiedevano una dichiarazione conclusiva da parte dei leader politici, come Berlusconi ha sapientemente fatto. La catena degli errori non si arresta.
Il resto della cerimonia è stata gelida e grigia, nulla che potesse alimentare la speranza, muovere a festa un popolo disperso. Pochissima gente per strada, pochissimi applausi, strade in bianco e nero bagnate dalla pioggia con questo corteo quasi funebre ripreso dall’alto, scortato da quattro motociclisti, che portava nascosta una persona anziana ormai prigioniera del ruolo che gli è stato imposto.
Giornataccia, conclusasi con il tenero virgulto intervistato dalla Gruber. Lei è brava ma mi sembra che stia giocando pesante. Renzi è sempre lo stesso, un repertorio di soluzioni di buon senso per qualsiasi problema, la superficialità elevata a sistema, una saponetta profumata per fare cosmesi in un corpo in via di estinzione, già in parte putrefatto. Il documento di Barca non l’ha letto, 55 pagine sono troppe, sono scritte in corpo piccolo e poi ci sono pure note, bibliografia e rimandi, se lo farà raccontare direttamente perché prima o poi lo incontrerà personalmente. La Gruber è troppo educata per dire: non le sembra una grave omissione per uno che ambisce a diventare il nuovo leader di un partito non leggere i documenti che anche semplici cittadini si sono premurati di leggere?
Alla fine la Bindi da Vespa, anche lei così rintronata da non aver sentito nessuna parola gridata da Napolitano in Parlamento. Solito repertorio di frasi fatte, di battute ad effetto, di distinguo capziosi. C’è voluto Belpietro e Massimo Franco e ovviamente Vespa per ridire in parole povere quello che aveva detto Napolitano. O tirate fuori una maggioranza parlamentare o si va ad elezioni. Delle beghe interne del PD il paese ha piene le tasche al punto che i leghisti ci appaiono come degli statisti anglosassoni.
Lucilla mi ha ricordato che dobbiamo guardare meno televisione.
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