Forse l’operazione 80 euro va in porto. Anzi, è sicuro che andrà in porto almeno per quest’anno poi si vedrà, bisognerà cercare nuove coperture strutturali e tutti sperano nel miracolo dell’ottimismo piacione di Mattia il gradasso che produca una piccola mossa al corpaccione malato della società italiana.
Nel frattempo ci siamo dimenticati lo scopo dell’operazione, o meglio l’operazione ha assunto un nuovo significato rispetto a quello originario. L’obiettivo originario era quello di ridurre il cuneo fiscale per avere nel contempo un costo del lavoro per unità di prodotto più basso e per aumentare il denaro che finisce in tasca ai lavoratori. Si pensava di ridurre la pressione fiscale sul reddito da lavoro e e sulle imprese: il risultato è che alle aziende si dà 700 milioni per prelevarne 600 mentre ai lavoratori con più bassi redditi si dà circa 10 MLD da rosicchiare dai servizi dello Stato e degli enti locali e dalle rendite dei conti correnti.
Gradualmente ci si è dimenticati dell’obiettivo vero, si è rinunciato a capire perché i tedeschi pagando gli operai il doppio producono macchine competitive con le nostre ci si è innamorati dell’idea di smuovere il PIL a colpi di consumi interni finanziati a debito con l’aumento del deficit di bilancio, si è pensato che fosse molto di sinistra distribuire bonus a chi ha già un lavoro modesto, ma un lavoro ce l’ha, senza considerare gli incapienti, i pensionati al minimo, i disoccupati. Così si è arrivati a concepire una operazione di ugualitarismo sociale, un generale sussidio di grillina memoria di cui gli 80 euro sono il primo passetto promettente.
Alla fine però molti hanno capito e pensano che sia in realtà una mancetta in vista del 25 maggio. E gli italiani, che sono perfidi, stanno al gioco e fanno volare i sondaggi, il consenso sale, il premier gongola e procede nella sua marcia trionfale verso la vittoria finale senza ricordare che nell’urna succedono tante cose strane, che la gente è meno scema e meno disinformata di quanto i nuovi apprendisti stregoni pensano.
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