Oggi avrei tante cose da raccontare su cui riflettere. Il clima natalizio non è solo la frenesia degli acquisti ma soprattutto è la dolcezza di un ritrovarsi nella folla della vita.
Così in questi giorni mi è arrivato l’invito alla prima di un nuovo film di Rachid Benhady Profumo di Algeri con Monica Guerritore e la consulenza cinematografica di Vittorio Storaro presso la pontificia Università Gregoriana

Girato nel ’12 ricostruisce una storia del 1998 nel mezzo del terrorismo islamista scoppiato in quegli anni in Algeria. La protagonista fuggita per sempre da un inferno familiare e divenuta donna di successo nell’Europa ricca e colta viene risucchiata dai vincoli familiari nel mezzo del dramma di un fratello terrorista condannato a morte. Un film da vedere e rivedere perché denso e struggente e terribilmente attuale nel momento in cui si riaccende la furia iconoclasta, disumana e omicida dell’ISIS. La protagonista è lacerata dalle contraddizioni della sua nuova cultura profondamente occidentale e laica, la violenza della cronaca in cui è risucchiata e dal profondo che riemerge dall’infanzia violata da una educazione religiosa imposta e da un padre violento.
Ma io dove ero nel ’98? cosa ricordo dello strazio di quel paese terrorizzato con centinaia forse migliaia di morti del tutto innocenti. Pochissimo ricordo, qualcosa perché recentemente, leggendo un racconto giallo, avevo ritrovato la storia di monaci cristiani barbaramente decapitati. Sì, qualcosa ricordavo delle cronache televisive di allora: le grida delle donne che a una certa ora delle notte davano il cessato allarme controllando dalle finestre le strade disseminate di cadaveri e di feriti. Il film si conclude con la partecipazione della protagonista alla manifestazione delle donne ad Algeri contro il terrorismo. Quell’epilogo del film mi ha confermato nella convinzione che la salvezza da questa furia insensata del terrorismo è in mano alle donne ‘oscene’ come scrivevo nel post dedicato a Valeria Solesin.
Ho riportato l’icona del luogo che ha ospitato la proiezione perché mi ha colpito quasi come il film. Se il film riportava il profumo acre della violenza di Algeri, il luogo in cui sono stato accolto aveva il profumo della cultura solida di studiosi che fanno della formazione di nuovi gesuiti, di nuovi preti, di nuove donne il lavoro di tutti i giorni. Ambiente internazionale, lingua italiana appresa come seconda o terza lingua posseduta in modo quasi perfetto, accuratezza delle presentazioni, eleganza di ogni più piccolo aspetto dell’evento. Direte che sono rincitrullito: forse, ma non posso dimenticare la cialtroneria della incultura e del pressappochismo di tanti contesti culturali e formativi di casa nostra. Sì, perché mi sentivo decisamente all’estero.
Categorie:Cultura e scuola, Riflessioni personali
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