Nel settimo anniversario della morte si è svolto ieri pomeriggio un seminario a lui dedicato presso Roma3 organizzato da Benedetto Vertecchi e animato dai sui allievi che ora insegnano pedagogia a Roma.
Di Aldo Visalberghi ho già accennato su questo blog in quattro post
I test e la selezione per la qualità Si può guarire La tecnologia e i capelli bianchi Una vecchia intervista
Durante il seminario sono stati letti e commentati dei brani tratti dalle sue opere ed è stato presentato un nuovo servizio del Laboratorio di Pedagogia di Roma3 che propone tutta l’opera di Visalberghi in pdf a disposizione degli studiosi.
Mi unisco a questo ricordo raccontando ciò che mi torna più vivamente alla mente pensando a lui che ho sentito come un maestro di vita, di studio e di lavoro.
Lavorava moltissimo, era infaticabile e non diceva mai di essere stanco. Per tre anni facemmo la spola a volte sullo stesso treno con Milano per lavorare ad una collana di libri di testo per la scuola media della Ghisetti e Corvi. Leggeva tutto trasversalmente ma con accuratezza nei punti che riteneva più significativi e problematici. Non gli sfuggiva niente e ricordava i punti problematici su cui bisognava riintervenire con delle riscritture. Leggeva i nostri testi come per imparare, con curiosità anche risolvendo semplici esercizi di matematica per la scuola media. Si lavorava fino a sera tarda, si prendeva il ‘tutto letti’ della notte per tornare a Roma e la mattina di corsa a casa per prepararsi per la giornata all’università, profumato e impeccabile.
Mi ha educato ad essere rispettoso, per lui non era sufficiente essere tolleranti: ricordo come fosse adesso quando andai a metterlo in guardia rispetto a collaboratori che a mio parere stavano remando contro le cose che stava facendo faticosamente al CEDE. Mi rispose che sapeva benissimo ma che occorreva rispettare gli altri anche quando ti remano contro, bisognava capire le buone ragioni dell’altro e nutrire rispetto per tutti. Furono molte le occasioni in cui questo insegnamento fu per me decisivo per vivere bene e per dirigere una comunità complessa come una scuola.
Sono stato affascinato dalla sua cultura, mai esibita ma che naturalmente emergeva dal suo linguaggio ricco e complesso, dall’imprevedibilità di quello che stava per dire anche se erano anni che lo avevi sentito parlare di quello stesso argomento. Sono stato sempre affascinato dalla sua scrittura elegante, ricca, densa di significati e di rimandi ad una enciclopedia di saperi vastissima.
Sono stato sorpreso dall’apprendere solo alla sua morte che era stato un partigiano che prese parte ad azioni vere e che fu anche arrestato. Non ne parlò mai con noi, mai una volta proclamò più del necessario il suo antifascismo in momenti in cui andava di moda. Il suo impegno politico di parte, attivo nel partito socialista, rottamato dal prorompente giovane virgulto Bettino, l’ animazione di mille imprese legate alla scuola, la collaborazione con le associazioni di insegnanti, erano alimentati da una visione della società e dell’uomo libera da pregiudizi e rancori, da una fede profondamente laica.
Anch’io propongo la lettura di un suo brano tratto da Scuola Aperta del 1960. Attenzione quando qui usa la parola Valutazione non intende la valutazione scolastica! Per capire bene, leggere l’intero libro.
6. Cultura tecnico-scientifica e valutazione.
Se l’attività tecnico-scientifica ci appare tendenzialmente automotivata o “ludiforme”, ciò significa che è oggetto di valutazioni; i progetti di ricerca o di realizzazione produttiva vengono “apprezzati” anche e soprattutto per la loro ricchezza di prospettive attive. Né queste prospettive riguardano solo la “privatezza” psicologica di chi progetta, sono anzi sempre ricchissime di risonanze sociali di varia natura. Si insista sul carattere estetico di tali apprezzamenti, come fanno alcuni, o se ne rilevi piuttosto il carattere di consapevolezza sociale, si tratta pur sempre di valutazioni che illuminano- di continuo le attività e che sarebbe illusorio tentar di attribuire a un diverso “momento” spirituale. Non è lecito disgiungere lo “spirito scientifico” dalla scienza in atto, e lo spirito scientifico è spirito di apertura antidogmatica, di comunicazione e tolleranza, è consapevolezza dei limiti della scienza,, è pensoso abito di umiltà che spesso si accosta al più puro senso di religiosità. Esiste di certo un’etica della produzione che è coessenziale alla produzione stessa, raggiunga essa o meno i vertici della creazione artistica: Wright o Le Corbusier ne sono esempi spiccati. Il mito di una scienza e di una tecnica indifferente ai valori tanto meno ha ragione di sussistere quanto più si realizza quella congiunzione fra scienza e tecnica di cui si è parlato. La scienza “pura”, nel senso di un distacco deliberato dallo stesso contesto in cui il momento teorico assume significato, e perciò tutta affidata a un raffinato ed estenuato gusto puramente intellettuale, può illudersi di essere al disopra del bene e del male, ma per fortuna non se ne hanno quasi esempi fuori dai romanzi a fumetti; più facili sono i pervertimenti delle tecniche: tecnici e non scienziati della medicina erano quei medici tedeschi che sperimentavano su cavie umane nei campi di concentramento.
Con tutto ciò, può ben conservarsi l’accennata differenziazione che riconosce alle discipline umanistiche un carattere più spiccatamente “valutativo” che alla discipline tecnico-scientifiche. Il linguaggio che queste impiegano è studiatamente purificato da ogni risonanza sentimentale e tende unicamente a due ideali-limite: la piena verificabilità intersoggettiva di un numero potenzialmente infinito di combinazioni simboliche, e la più ampia possibilità di trasformazioni analitiche che portino a precise previsioni. L’aspetto valutativo è ridotto in certo modo ai margini di questi limitati, ma precisi e coerenti “universi di discorso”. Nell’ambito di essi non sono possibili che giudizi di fatto: « fatto » significa essenzialmente regolarità naturale, anche la registrazione del singolo “evento” non è possibile che come determinazione spazio-temporale di regolarità già note; enunciare una regolarità naturale significa fornire l’almeno ipotetica possibilità di servirsene, donde il carattere strumentale o di “mezzi” degli enunciati scientifici.
Ben diversa la natura delle lingue letterarie, dove gran parte dei termini sono, per cosi dire, imbevuti di risonanze sentimentali, e cioè allusivi di complesse esperienze di successo e di frustrazione. Giustamente Dewey parla delle “ricchezze di idee e di emozioni che sono accumulate e consolidate nel linguaggio” come del tramite più importante per cui il fanciullo e il giovane può diventare “un erede del capitale consolidato della civiltà”. L’apprendere per contatto su cui tanto insiste Whitehead, e specialmente a proposito delle lingue e della storia, credo alluda essenzialmente all’assorbimento dei significati emotivi e degli atteggiamenti valutativi impliciti nei linguaggi letterari,- anzi in tutti i linguaggi che trovano impiego nelle creazioni estetiche (compresi cioè quelli figurativi e quello musicale).
Non si creda, per altro, che la formazione estetico-letteraria induca automaticamente in noi corretti abiti valutativi. Per quanto io ritenga che a tale risultato porti, almeno tendenzialmente, una vera dimestichezza con l’arte genuina, che è sempre un potente invito alla comprensione dell’umano, all’apertura, alla comunicazione, non vi sono sufficienti garanzie che nei giovani l’apprezzamento estetico si realizzi sempre in modo sufficientemente approfondito, per il semplice fatto che, come già notava Rousseau, tale apprezzamento presuppone una genuina ed appassionata esperienza di vita. La formazione letteraria, in sé e per sé, può anche ingenerare abiti egoistici di chiusura mentale e di insensibilità, e quanto già si è detto circa i caratteri di aristocratico “disinteresse” e di raffinata educazione alla fruizione piuttosto che alla produzione, storicamente connessi alla tradizione umanistica, deve renderci specialmente preoccupati di un tale pericolo. Il migliore antidoto contro di esso sta proprio nel far largo posto alla formazione tecnico-scientifica. Gli interessi tecnologici precedono in genere quelli strettamente scientifici, soprattutto nei fanciulli che si esercitano in tecniche produttive anziché sentirne solo parlare. Ma agli occhi dei giovani produzione e fruizione sono connesse in modo specialmente stretto : essi si preoccupano dei vantaggi che vengono agli uomini dalle tecniche e dalle scienze, l’alone valutativo da cui le dicevo circondate è per essi assai più importante dei nuclei centrali strettamente tecnici o scientifici. La sforzo umano verso un benessere compartecipato trova risonanze profonde nelle coscienze in fieri, l’homo faber piace di più dell’homo sapiens. Una storia tecnologica è per molti assai più avvincente di quella politico-militare: comunque non v’è antitesi fra le due; ed è appunto la storia che dovrebbe fare da mediatrice principale fra gli aspetti letterari e gli aspetti tecnico-scientifici dell’educazione.
Categorie:Cultura e scuola
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