I miei lettori mi perdoneranno se le riflessioni che seguono potranno apparire delle divagazioni inutili ma le appunto qui perché per me sono state una piccola scoperta di questa mattina.
Torno a ragionare sulla rottamazione di Renzi e sulla regola del M5S che limita il numero dei mandati politici per evitare il carrierismo. Apparentemente sono argomenti condivisibili, il primo come rimedio alla lentezza del ricambio e alla mancanza di innovazione generazionale, il secondo come presidio per la moralità e garanzia del potere di scelta dell’elettorato (popolo).
Due cose hanno provocato questa riflessione sull’argomento: lo scandalo di Milano Expo, l’articolo di Zagreblesky sul Senato su Repubblica di ieri.
Nella retata dei faccendieri di Milano Expo ritornano dei nomi eccellenti già incontrati nell’inchiesta mani pulite. La gente allibita si chiede: come è possibile non erano già stati condannati? Non li avevamo già cancellati? Come mai continuano a operare combinando cose inaccettabili?
La risposta è semplice: mentre la carica politica è per definizione pro tempore, mentre i mandati e le rappresentanze sono sempre a tempo c’è una cosa che oltrepassa le generazioni e le mode: il diritto di proprietà. Diritto di proprietà che sopravvive anche alle stesse forme dello Stato. Da tempo sentiamo certi cognomi, Pesenti, De Benedetti, Berlusconi, Agnelli, i capitalisti . Se costoro non hanno tutte figlie femmine, se non falliscono quei cognomi li sentiranno anche i nostri figli e nipoti perché certe proprietà come i latifondi, gli immobili, i grandi marchi, gli opifici si perpetuano per decine e decine di anni. Quindi non dobbiamo scandalizzarci se scopriamo che un certo imprenditore fa ora esattamente quello che faceva 20 anni fa quando fu scoperto da mani pulite. Intendiamoci non voglio con ciò giustificare nulla, vorrei che aprissimo gli occhi sulla realtà e la smettessimo di vedere solo il proscenio della politica e l’apparente mobilità e dinamicità del mondo rappresentato dal multimediale o dalla rete. Coloro che operano negli studi felpati dei notai sono riusciti a far credere agli elettori che veloce e precario è bello soprattutto in politica in cui si fa e si disfa nel breve spazio di una legislatura dimezzata.
A questa riflessione mi ha condotto anche la lettura dell’articolo su Repubblica di ieri che sviluppava quanto aveva detto Zagrebelsky in precedenti interviste presenti anche sulla rete. Sulla questione dell’abolizione del Senato, alla quale Zagrebelsky è contrario, viene richiamata la necessità che la rappresentanza democratica non faccia solo scelte di breve periodo che risolvano i problemi contingenti ma che sappia vedere oltre, con una logica di stabilità, conservazione dell’esistente, e di prospettiva, investimento per il futuro. I parlamenti hanno un tempo limitato di vita e una prospettiva corta per decidere. Ogni deputato ha il problema della rielezione e quindi del consenso spendibile hic et nunc (80 euro di aumento). Le camere alte, i Senati o sono di nomina regia a vita o per lunghi periodi o sono di diritto dinastico come la camera dei lord inglese. Zagrebelsky sostiene la necessità di un Senato in grado di vedere la prospettiva su tempi lunghi che travalichi la contingenza. Per questo formula ipotesi sulla sua composizione ed elezione, certamente ha un’idea diversa dalla camera delle autonomie che sarebbe semplicemente una corto circuito con un personale politico ugualmente pressato dalla contingenza non solo della scadenza elettorale ma anche della pressione del proprio elettorato locale. Non mi interessa discutere come fare, faccio mia la necessità di una continuità e di una prospettiva lunga e aggiungerei anche di una ricca competenza.
Quindi se per far fronte ad andamenti lenti e profondi ma forti e decisivi come quelli dell’economia reale occorre competenza, lungimiranza e visione la strategia renziana non solo è inutile ma anche pericolosa nel momento in cui si sono scatenate quelle reazioni disperate di chi è in difficoltà, e di chi teme di esserlo, le quali sono canalizzate in movimenti che nel giro di pochissimi anni riescono a occupare un terzo del parlamento.
Non si può far a meno di chi ha esperienza, di chi è in grado di convincere e di argomentare, di chi può presentare un curricolo di benemerenze e di fattività convincenti. La rottamazione è una stupida barbarie di giovanotti presuntuosi che non hanno mai vinto un concorso, non hanno mai affrontato la durezza del rapporto di lavoro o il rischio della impresa innovativa. La regola grillina dell’avvicendamento e della non rieleggibilità è un furbo espediente per tenere sotto scacco tutti i propri accoliti da parte di un capo assoluto che non si confronta con nessuno se non con il proprio guru informatico sul come raggirare meglio la plebe inferocita.
Per questo, venendo alle conseguenze di queste riflessioni, integro quanto dicevo nelle precedenti esternazioni sulle elezioni, aggiungendo che nella selezione dei miei candidati da votare sarà un punto a favore l’aver già fatto il deputato europeo, di averlo fatto con onore e competenza. Devo consultare a fondo la rete. Ciò a scapito di giovani brillanti, che brillano soprattuto per devozione al capo, parlo della Bonafé.
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