cittadini, contadini, borghesi, borgatari

Le celebrazioni dell’anniversario della firma dei trattati di Roma che avviarono la costruzione dell’Europa Unita non sono state una festa lieta ma un evento politico gestito con un certo imbarazzo da protagonisti che sembrano nani rispetto ai padri fondatori. Protagonisti che sanno di poter parlare e decidere sub iudice incalzati dalla precarietà dei loro incarichi derivanti da una investitura democratica pro tempore.

La rappresentazione plastica più chiara della precarietà dei 27 capi di stato e di governo l’ho vista nell’udienza dal papa: in un’aula del trono sontuosa e imponente, gli ospiti erano disposti a ferro di cavallo tutti uguali senza alcun segno di distinzione come invece accade in molte udienze concesse a diplomatici, nobili e chierici. Il papa in alto all’estremità di un lungo rettangolo, seduto sul trono rappresentava un potere millenario mentre nella platea una assemblea di potenti pro tempore governavano una istituzione che potrebbe dissolversi come neve al sole per qualche manciata di voti in una sola provincia dell’impero.

Devo ammettere che quelle immagini mi hanno messo di malumore: ho sentito profumo di medioevo, di re ed imperatori che si inginocchiavano davanti al potere della Chiesa. Poco importa che ora a capo di questa Chiesa ci sia un predicatore francescano che difende i deboli e gli oppressi, ciò che conta è capire quale grado di autonomia e di laicità si voglia assicurare ad una istituzione che vorrebbe costruire una entità nuova che assicuri pace e benessere all’intero continente. Quante guerre e stragi si sono verificate in Europa a causa della religione, delle religioni? Un evento del tutto laico sarebbe stato più cristallino e più comprensibile da tanti europei, atei, protestanti, islamici, ortodossi, buddisti…

Tutto il cerimoniale del giorno dopo, per quel poco che ho potuto vedere seguendo le fasi salienti in televisione, rifletteva la difficoltà in cui versano tutte le istituzioni europee e il senso di inadeguatezza dell’impianto istituzionale che in 60 anni è stato costruito. Negli articoli letti oggi circa piccoli malintesi occorsi nella cerimonia di ieri in Campidoglio ho capito che il cerimoniale in larga misura risente delle regole osservate da Bruxelles per le frequenti riunioni che nei palazzi dell’Unione vengono organizzate. L’arrivo in macchina blindata cadenzato in modo che ciascun ospite faccia una passerella sul tappeto rosso, il rito delle firme apposte su un foglietto vuoto di fronte alle telecamere come se i 27 fossero scolaretti, la mancanza di solennità e di emozione sostituita da sporadiche pacche sulle spalle come se fossero tutti amiconi di lunga data, hanno comunicato il messaggio di uno sgretolamento dei rapporti tra stati e tra le persone, di una debolezza di intenti che non rassicura il cittadino all’ascolto. Roma senza una bandiera, Roma blindata ed impaurita, la piazza del Campidoglio trasformata in teatro di posa per centinaia di giornalisti e fotoreporter, strade deserte, questo scenario non alimentava fiducia e speranza.

Ho ascoltato a fine giornata i titoli dei giornali e alcuni commenti su Rainews24. Non mi hanno aiutato a capire meglio, anzi ho avuto la sensazione che pochi avessero letto approfonditamente il contenuto del documento sottoscritto dai 27. Nei commenti la gran parte improntati ad un euroscetticismo più o meno marcato mi ha colpito la cura e l’insistenza con cui si parlava di cittadini, un modo da esorcizzare la parola popolo o populismo che costituisce il nemico da battere da cui ci si sente circondati.

Come sarà l’Europa tra 30 anni?

Che cosa, ora, in questo momento, può distruggere l’Europa, cosa la può far crescere? cosa la rende più solida? Cosa ci porterà a identificarci come popolo europeo? I giovani trentenni lo stanno in parte facendo spostandosi, creando famiglie transnazionali ma questi rischiano di essere una minoranza di borghesi acculturati travolti dalla massa degli esclusi che vivono nelle periferie con poca istruzione e poco reddito, quelli che a Roma chiamiamo borgatari.

Sarà un modello sociale, il welfare, sarà un modello economico, il capitalismo o il socialismo, sarà una ideologia, sarà un credo religioso? Tutto potrà contribuire; storicamente questi sono stati i fattori che hanno formato popoli che si sono poi identificati in istituzioni diventando sudditi, compagni, camerati, fedeli, elettori, servi.

De Gaulle e molti altri che hanno frenato l’aggregazione europea parlavano di Europa dei popoli, a volte di Europa delle nazioni, sempre più spesso ora si parla di Europa dei cittadini. Sì perché gran parte della popolazione vive nelle città, le città sono più identitarie delle singole nazioni, un abitante di Milano si sente prima di tutto milanese, poi europeo poi con un certo fastidio italiano. Milano è diversa dai piccoli comuni della regione, il centro di Roma ha una identità diversa da quella delle periferie.

In Francia i cittadini si scontrano con la tradizione contadina come succede in Inghilterra  tra Londra e le contee periferiche.

Forse allora questo continente è attraversato da un’altra discriminante,  quella che distingue i cittadini, gli abitanti delle città e delle metropoli, da coloro che vivono nei piccoli paesi periferici, nelle banlieu, nei borghi antichi, nelle tenute agricole bisognose di dazi e di protezione. Le articolazioni del popolo europeo non sono solo tra poveri e ricchi, nordici e sudisti, tra cattolici e protestati, tra cristiani e islamici, tra atei e credenti, tra uomini e donne ma anche  tra cittadini e contadini, tra borghesi e borgatari. Chissà, forse sentiremo parlare di Europa delle città? Forse questa è la prospettiva del medioevo prossimo venturo? Non sarà un problema se le strade e le comunicazioni verranno tenute efficienti e sgombre connettendo le città in cui è ammassata gran parte della popolazione,  evitando che succeda di nuovo quel degrado della rete viaria romana che aveva proprio nel Campidoglio il punto di origine universale e che portò alla grande recessione pluricentenaria del medioevo.

Viva l’Europa.



Categorie:Pace, Politica

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4 replies

  1. questo e` un articolo (piu` che un post) di rara profondita`, e mi sarebbe piaciuto leggerlo su qualche quotidiano, se non avessi smesso con questo rito inutile e demoralizzante.

    da` davvero molto da pensare, anche grazie allo spessore storico delle considerazioni, esposte in una forma scorrevole, lucida e chiara (per quel 20% scarso di italiani che sono strutturalmente effettivamente alfabetizzati).

    grazie.

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  2. L’ha ribloggato su cor-pus 15e ha commentato:
    questo e` un articolo di Raimondo Bolletta (piu` che un post) di rara profondita`, e mi sarebbe piaciuto leggerlo su qualche quotidiano, se non avessi smesso con questo rito inutile e demoralizzante.

    da` davvero molto da pensare, anche grazie allo spessore storico delle considerazioni, esposte in una forma scorrevole, lucida e chiara (per quel 20% scarso di italiani che sono strutturalmente effettivamente alfabetizzati).

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  1. Europa delle città | Raimondo Bolletta

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