Ho letto la lettera indirizzata da Calenda a Letta circa i termini dell’accordo elettorale che vorrebbero chiudere. Ho capito che Calenda è un socio scomodo e molesto, bravo a ottenere il massimo in una trattativa ma un po’ ingenuo nelle sua presunzione. Si tratta di un ricatto bello e buono: se non ci sono io, vince la Meloni e quindi, se non ottengo quello che chiedo, tu sarai il responsabile della vittoria del fascismo in Italia. Questo discorso lo poteva fare benissimo in una trattativa a quattrocchi senza testimoni ma non attraverso una lettera commerciale su carta intestata con vistose firme in calce. La scelta dei candidati da indicare nei seggi uninominali è delicata sia perché è difficile calcolare a priori la ripartizione dei posti tra le forze partecipanti sia perché sarà un lavoro lunghissimo identificare quali collegi assegnare a questo o quel personaggio politico. Ma se si comincia con veti sui nomi senza discutere di criteri generali è difficile trovare un accordo. Temo che lo stesso problema ce l’abbiano gli alleati della Meloni, un groviglio di vincoli e di controindicazioni che impegnerà la furbizia di molti traffichini intenti a salvare la poltrona a vecchi e nuovi personaggi.

Come avrete capito, questo intrico, questo gnommero, sollecita la mia curiosità sugli esiti quasi fosse un giallo poliziesco. Sono andato a rileggermi quanto avevo scritto sulle leggi elettorali che ho raccolto in un pdf messo in evidenza in prima pagina. Nel Mattarellum i voti che avevano determinato l’elezione nei seggi uninominali erano detratti dal computo delle rispettive liste di appartenenza per cui l’effetto premiante del maggioritario era praticamente inesistente. Per questo nel Porcellum fu introdotto un vero premio di maggioranza per assicurare che dopo ogni elezione ci fosse una maggioranza ampia e un governo forte e stabile. Se ne avvantaggiò il governo Berlusconi che però ci portò al quasi default del 2011 cadendo per l’uscita dalla maggioranza dei leghisti. L’epilogo della legislatura fu il governo tecnico di Monti. Il premio di maggioranza fu dichiarato incostituzionale perché troppo grande rispetto alle dimensioni delle forze in gioco. Passando per l’ipotesi Italicum, che prevedeva il doppio turno e che fu bocciato nel referendum, si arrivò alla legge Rosatellum in cui i seggi assegnati con il maggioritario di fatto sono premianti per la prima coalizione che superi il 40% assicurando così una maggioranza parlamentare sufficiente a costituire un governo stabile. Ciò poteva accadere in una dinamica politica bipolare ben bilanciata tra destra e sinistra ma si rivelò inefficace con un terzo incomodo, un terzo polo, che assorbiva troppi voti alle due coalizioni principali in competizione. Fu così nel ‘13 con i partiti di Monti e di Grillo e poi nel ‘18 con il 31% vinto dai 5 stelle. Sono state due legislature senza una maggioranza uscita dalle urne in cui però la duttilità delle istituzioni repubblicane ha consentito comunque di tirare avanti alla meno peggio con governi non previsti nelle campagne elettorali.
Le lettera di Calenda e la trattativa già chiusa nel centro destra dimostrano che la situazione attuale ha ulteriormente indebolito l’impianto della legge: non serve a ridurre il numero dei partiti perché con astuzie e bizantinismi anche piccolissime forze improvvisate di qualche personaggio noto alle cronache politiche e giornalistiche può entrare in partita dettando le regole, l’accordo di coalizione non crea alcun vincolo a posteriori per cui le alleanze elettorali sono sciolte subito senza alcun ritegno e vergogna tanto gli elettori sono smemorati o indifferenti alla coerenza. Lo spettacolo di queste ore, amplificato da una stampa che diffonde qualunquismo a piene mani, in cui anche io riesco a capire come il candidato X può essere certo di entrare in parlamento perché lorsignori della stampa o dei partiti strutturati l’hanno deciso, allontanano ancora di più gli elettori dall’urna. Stiamo piombando in una confusione mentale, in una babele di lingue e di sigle.
Ragionando su queste cose ho avuto un’idea che vorrei condividere, in questa confusione lasciamo libera la fantasia. Per riportare i cittadini alle urne occorre ovviamente che siano possibili i voti di preferenza ma in effetti ci sono quelle controindicazioni che portarono all’abolizione di questo istituto con il referendum di Segni. Si potrebbe allora optare per un’altra soluzione che indurrebbe i partiti a non rassegnarsi all’astensionismo degli elettori. Prevedere che gli eletti nel maggioritario siano in carica per cinque anni solo se hanno ottenuto più del 50% dei voti validi mentre se hanno prevalso senza raggiungere il 50% del consenso durerebbero solo due anni e mezzo. Ciò vuol dire che ci sarebbero delle elezioni di mezzo termine per rinnovare i seggi uninominali maggioritari vinti senza raggiungere il 50%. Ciò sarebbe un vincolo forte per la coesione della coalizione vincente, sarebbe una verifica in itinere che in assenza di una stabilità governativa efficace potrebbe essere anche una occasione per elezioni anticipate di un parlamento senza maggioranza. Confusione mentale? Che ne dite?
Categorie:Elezioni politiche 2022, Politica
Rispondi