Come ho sempre fatto in questo blog condivido con i miei lettori la scelta del voto con un certo anticipo.

Questa volta, come non mai, il ruolo della stampa nella manipolazione del dibattito politico potrebbe essere decisivo. In particolare il gruppo editoriale che fa capo a Cairo, la 7 e il Corriere, e il Fatto Quotidiano hanno raccolto nelle loro numerose trasmissioni variamente orientate una pluralità di opinionisti e di giornalisti un tempo di sinistra che hanno
- asseverato la eleggibilità della Meloni sull’alto soglio di Palazzo Chigi,
- diffuso pessimismo e ansietà sulle prospettive future,
- imputato al PD ogni errore sulle responsabilità del passato e sulla conduzione della campagna elettorale,
- diffuso la visione moralistica e piagnona della scontentezza di chi credeva che la vita sarebbe stata una passeggiata tra rose e fiori.
Sono consapevole del fatto che stiamo vivendo un passaggio storico particolarmente difficile, per certi versi apocalittico, ma proprio l’eccesso di attenzione e di allarmismo diffuso dai media ha sterilizzato gli atteggiamenti collettivi spogliandoli di consapevolezza matura della gravità della situazione (effetto al lupo al lupo!): invece di convergere su scelte comuni di fronte a pericoli epocali, come in parte era successo con la scelta di un governo di unità nazionale sotto la guida di Draghi, il sistema politico è deflagrato in tanti particolarismi in cui le differenze sono marcate solo da chi promette di più a questa o quella categoria di elettori. La legge elettorale che formalmente incentivava e premiava la creazione di coalizioni tra i partiti attraverso seggi uninominali maggioritari, ha consentito che tali accordi elettorali fossero dei contratti a tempo senza che fosse condiviso un vero programma di governo comune. Ancora una volta i media, in particolare quelli in mano pubblica, avrebbero dovuto rendere i cittadini consapevoli dei pregi e dei difetti del sistema elettorale ma la mia sensazione è che pochissimi addetti ai lavori ( gli stessi politici) sono sufficientemente a conoscenza delle tecnicità e dei vincoli di questa pessima legge. Anche da ciò nasce la disaffezione degli elettori che non capendo e non condividendo l’architettura del sistema elettorale e della rappresentanza che ne risulta rinunciano a votare.
Destra e sinistra
La grave crisi economica e politica del 2011 portò all’appoggio parlamentare quasi unanime del governo Monti che aveva come programma quello di scontentare simmetricamente l’elettorato di destra e di sinistra adottando una cura dura e dolorosa. La reazione dell’elettorato fece emergere nuovi gruppi politici che rifiutavano l’etichetta di destra o di sinistra. Nuove dimensioni trasversali quali il populismo o l’anti europeismo o l’anti euro o il rigore moralistico hanno occupato la scena con percentuali di voti aggregate di almeno il 30% riducendo lo spazio residuo delle vecchie forze al 70% da ripartire tra sinistra e destra. Per una delle due aree, sinistra o destra, superare il 50% è diventato praticamente impossibile e quindi nelle due passate legislature abbiamo assistito alla costituzione di maggioranze parlamentari eterogenee guidate da presidenti del consiglio esterni alla politica. Lo stesso Conte, che ora è a capo dei 5 stelle, divenne presidente del consiglio quale esperto di aerea senza essere membro del Parlamento.
Ora sembra che la destra sia in grado di superare il 40% dei suffragi nei seggi proporzionali e se così fosse potrebbe arrivare a disporre di almeno il 60% dei seggi (sommando i proporzionali e i maggioritari) e quindi potrebbe governare tranquillamente senza troppi ostacoli in Parlamento ed anzi potrebbe mettere mano alla Costituzione senza dover passare per i referendum popolari. Attenzione! una riforma presidenzialista, ora proposta dalla destra, potrebbe essere appoggiata anche da qualche gruppo intermedio che ora si presenta da solo. Si potrebbe arrivare così alla soglia del 70% che non richiede la verifica del referendum.
Non ho dubbi
Non ho alcun dubbio sull’area che escludo: questa destra capeggiata da Fratelli d’Italia della Meloni non corrisponde ai miei interessi e tantomeno ai miei ideali. E’ la stessa compagine che lasciò nel 2011 il paese in braghe di tela con uno spread arrivato a quota 500, stessi personaggi, stessi obiettivi politici, nessun ripensamento e nessuna autocritica sulla politica che portò a quel disastro. La leadership della Meloni ripropone una visione regressiva del mondo moderno che si riassume nello slogan ‘Dio, patria e famiglia’. Il successo della Meloni, oltre al favore dei media alla ricerca del nuovo, sarà anche l’effetto di una reazione contro tutto ciò che la modernità ha prodotto dalla rivoluzione francese in poi per costruire ‘libertà, fraternità e uguaglianza’.
La non destra
Ciò che non è destra non è detto che sia sinistra, c’è addirittura chi in queste settimane sostiene che nessuna forza politica è autenticamente di sinistra. Alcuni si collocano a sinistra dello schieramento ma preferiscono definirsi progressisti perché uno di sinistra è visto come un comunista, secondo i pregiudizi di chi è di destra.
Nel 2012 pubblicai due post che, se avete tempo, vale la pena di rileggere su che cosa possa voler dire essere di sinistra: il primo dal titolo ‘Sinistrume‘ e il secondo ‘Di sinistra?’
La non destra è divisa in almeno tre formazioni la cui somma dei voti potrebbe avvicinarsi o addirittura superare la destra ma che, non avendo sottoscritto un accordo elettorale per ripartire in modo ottimizzato l’assegnazione dei seggi uninominali, difficilmente potrà impedire alla destra di superare il 50% dei seggi. Non entro nella discussione sulle responsabilità di questa frammentazione, i soliti media tendono a incolpare Letta per non aver saputo gestire la partita delle alleanze e su questo molti politici alla ricerca del capro espiatorio cominciano a concordare preparando la defenestrazione di Letta. Ma ora poco importa, tra pochi giorni dovremo scegliere.
I 5 stelle
Non ho mai votato per i 5 stelle per le ragioni che ho a suo tempo illustrato, a maggior ragione ora la guida di Conte rende il movimento del tutto grigio, ancorato alla promessa di nuovi benefici variamente populisti e moralistici. Chi riteneva che il movimento potesse sgonfiarsi sotto il 10% non teneva presente che circa 8 milioni di cittadini percepiscono il reddito di cittadinanza e che quelle famiglie ci terranno a votare il movimento che difende senza se e senza ma quella legge. La natura al fondo clientelare del movimento emersa nella legislatura l’abbiamo osservata anche in questi giorni nella difesa ad oltranza delle storture del bonus edilizio che potrebbe creare un danno all’erario di svariati miliardi.
Terzo polo
Il terzo polo di Calenda e Renzi non può avere il mio voto per i profili dei due leader: Renzi si gloria di aver fatto cadere un governo ogni due anni, Renzi subito dopo la formazione del Conte II nel settembre del 2019 costituisce un proprio partito assorbendo molti parlamentari del PD che lui aveva messo in lista quando era segretario ed altri transfughi da altri partiti. Calenda, attraverso il PD di Renzi, ha seguito un tortuoso percorso verso il potere e la notorietà, eletto nel PD al parlamento europeo, intraprende una polemica contro il proprio partito dal quale esce per fondare un proprio gruppo di opinione alimentato sui social. Il tentativo di Letta di realizzare un accordo elettorale con Calenda è naufragato in pochi giorni nonostante fosse stato firmato pubblicamente un testo scritto. Calenda dice cose sensate ed interessanti, troverete qualche recensione positiva anche in questo blog, tuttavia le sue posizione di queste settimane sono sufficienti per considerarlo del tutto inaffidabile come alleato e non meritevole del mio voto. Quando evocavo il pericolo che qualche forza di ‘non destra’ possa dar man forte al raggiungimento del 70% di consensi ad una riforma costituzionale in senso presidenziale pensavo proprio al terzo polo Renzi – Calenda.
Democratici e progressisti
La coalizione dei democratici e progressisti è l’unica scelta possibile per me: al suo interno vi è una gamma di opzioni abbastanza estesa che va dagli europeisti liberali della Bonino, al PD di Letta, ad Articolo 1 di Speranza, a Fratoianni e Bonelli, a Di Maio e Tabacci. L’eterogeneità delle posizioni, se come tale non è sommabile in un programma di governo, rappresenta però bene la gamma delle posizioni che su problemi specifici io stesso tendo ad assumere. In queste elezioni la posta in gioco sono i seggi uninominali maggioritari che faranno la differenza e la coalizione dei democratici e progressisti è l’unica a poter competere con quella di destra. All’interno di questa coalizione il PD di Letta merita il mio voto per almeno tre motivi:
- il PD potrebbe risultare il gruppo parlamentare più numeroso perché nei numerosi sondaggi effettuati in questi mesi le due forze PD e FdI erano spesso appaiate e basterebbe poco per invertire le posizioni,
- il PD è un partito organizzato e consolidato e per i tempi che verranno occorrono organizzazioni partitiche solide e diffuse sul territorio,
- Il PD è diretto da Letta che pur con molti limiti (essere troppo buono) tra tutti i leader disponibili è certamente il migliore per preparazione, esperienza e visione politica.
Questo è il volumetto dedicato a Letta presidente del consiglio del 2013 e disarcionato da Mattia il gradasso.
Categorie:Elezioni politiche 2022, Politica
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